Tokio 2020: olimpiade diversa: nuove calzature, pista innovativa, atleti supportati da team a più competenze     

In un precedente mio post in questo blog (“le scarpe che ti fanno volare”) avevo affrontato l’argomento scarpe con una serie di considerazioni per concludere: “Sottrarsi al fascino di volare in corsa non indossando uno speciale paia di scarpe più performanti non sarà facile. Comunque, come sempre, è praticabile una più sobria alternativa, davvero alla portata di tutti: praticare un podismo meno tecnologico, più puro, mettendo l’essenza della corsa al centro della nostra attenzione. Quella che potremmo definire primordiale fatta di piccole o grandi sensazioni inappagabili, di piacevoli corse in mezzo alla natura con normali calzature che non volano e, meraviglia delle meraviglie, prodursi in una rilassante corsa a piedi nudi su un prato appena sfalciato intriso di rugiada nelle prime ore del mattino. Si proverà una sensazione indimenticabile che, davvero, gratifica tutto il vostro essere proiettando la mente verso il cielo sino a toccare, idealmente, le nubi con un dito.”

La mia era ed è tuttora la convinzione di quanto sia necessario non farsi travolgere e condizionare da quanto la tecnologia offre nel campo corsa e ricercare, piuttosto, piaceri primordiali, più autentici legati all’essenza della persona, gustarne i piaceri nel luogo segreto del nostro essere più profondo e genuino: la mente.

Però si sa che lo sport vive di competizione, della capacità di prevalere sull’avversario anche solo per millesimi di secondo come nell’inseguimento a squadre nel ciclismo ma di prevalere. Ne abbiamo la prova in questi giorni di gare alle Olimpiadi di “Tokio 2020”. Quelle che saranno ricordate per l’ assenza di pubblico sugli spalti per via di questa nuova peste degli anni 2000 che è il Covid. Non sono certo contro il competere anche se la modalità eccelsa sia quella di migliorare sé stessi pur gareggiando con altri competitors.

In queste “strane” olimpiadi gli osservatori più attenti non hanno potuto far a meno di notare che oltre agli innegabili progressi nella preparazione atletica con riscontro di tempi davvero prodigiosi come, ad esempio, quelli registrati nei 400 metri ad ostacoli nel maschile e femminile, alcuni atleti vincenti in gare simbolo dei giochi come i 100 metri indossavano scarpe che “fanno volare”. Infatti anche Il nostro talentuoso alfiere Jacobs, attualmente il più veloce del mondo nella finale vincente, non ha esitato a indossarne un paio molto tecnologiche di un noto marchio sportivo.

Non poteva non nascere un acceso dibattito anche con toni sin troppo polemici sul merito di queste scarpe che sarebbero in grado di aiutare a realizzare tempi stratosferici e dare vantaggi competitivi a chi le indossa.

Lo stile di questo blog non sarà mai quello di gettarsi a competere in polemiche ma, piuttosto cercare di ragionare per capire i pro ed i contro di una scelta che, sotto certi aspetti, è comunque opinabile.

L’equità delle condizioni in cui si svolge una gara, una corsa nello specifico, dovrebbe essere la condizione “sine qua non” per il suo corretto svolgimento. Siamo sicuri che questo assunto è garantito laddove alcuni indossano uno strumento (scarpe in questo caso) più performante mentre altri ne sono sprovvisti?

Credo ci sia una qualche alterazione del concetto prima espresso anche se va rilevato che chi non indossa “ le scarpe che fanno volare” ha o aveva la possibilità di accedere al mercato, acquistarle ed indossarle. Ha fatto una scelta, tecnica probabilmente, pensando fosse la migliore.

Non esito ad affermare che se avessi dovuto gareggiare alle olimpiadi (come in altra competizione) non avrei esitato a indossare le scarpe più performanti per non dare un vantaggio competitivo ai possibili avversari.

D’altronde sin da quando, negli anni settanta, sono comparsi sul mercato modelli innovativi con nuovi materiali, discretamente accattivanti, sul piano estetico è stata una vera gara tra podisti ad accaparrarseli per ottenere possibili e migliori performances ed anche maggior comfort. Nessuno, ma proprio nessuno, continuava ad indossare le classiche scarpe da tennis quelle ancora di moda negli anni sessanta tra alcuni podisti di allora.

Tutti o quasi tutti, anche i cosiddetti amatori, quelli che non si allenano sette volte alla settimana, si sono adeguati all’evolversi del mercato così come si è cominciato a correre su piste che niente avevano a che fare con la terra rossa su cui si sono cimentati tanti campioni, e non solo, del passato.

Tutto si evolve, niente rimane immutato per sempre; così oggi il successo di un atleta non è solo frutto della sua abilità nell’essere in forma nel giorno che conta ma di ciò che lo circonda e lo supporta. Si parte dal suo staff tecnico (*) (ovviamente sto parlando di runners di alto livello) che comprende fisioterapista, allenatore tecnico, mental- coach, quello che lo segue nella preparazione mentale (e questo blog da un’importanza primaria a questo fattore), lo sponsor che gli consente di dedicarsi a tempo pieno all’allenamento, al contesto sociale che mette a disposizione le appropriate strutture. Tanti vincitori e non vincitori di  queste olimpiadi han fatto riferimento a questa nuova frontiera dello sport: non vince tanto l’io quanto il noi, il gruppo. E’ certamente una consapevolezza che atleti del passato non esprimevano e che i media dimenticavano di evidenziare ponendo l’accento sul singolo, il “fenomeno”, il campionissimo. Oggi la realtà è diversa compresa quella pista di gomma vulcanizzata che assorbe energia offrendo un ritorno elastico notevole alle falcate nei runners. E’ costituita da materiali all’avanguardia adottati da una ditta italiana la Mondo di Cuneo sicuramente tra le aziende più specializzate nel settore. Come italiani ne dovremmo essere orgogliosi.  

 (*) “Anche i 100 metri sono uno sport di squadra, Marcell Jacobs ne è la prova. Dietro al campione desenzanese vive un team composto essenzialmente da sei elementi: coach Paolo Camossi, il dottore di chiropratica Renaud Dejean, il fisioterapista Alberto Marcellini, il manager Marcello Magnani, la mental coach Nicoletta Romanazzi e Giacomo Spazzini a curare l’aspetto nutrizionale. Particolarmente interessante l’apporto di Spazzini, agonista del fitness e titolare di GS Loft.” (da Il Corriere della sera 7 Agosto 2021)