ll numero di Ottobre 2010 di Runner’sworld contiene un interessante articolo
riguardo ad una particolare metodica d’allenamento.
Con l’unico scopo di approfondire l’argomento ho inviato la seguente lettera alla
citata rivista:

Egregio Direttore Le faccio pervenire alcune considerazioni in merito all’articolo sottocitato augurandomi che possano essere di stimolo per un approfondimento tecnico.
“Tempo run” e “corto-veloce” dove risiede la differenza?
(riferimento all’articolo. “ Tempo di Tempo Run” pag 72 della rivista di ottobre
’10).
Scrive John Hanc, citando l’esperienza di Toby Tanser che ebbe modo di allenarsi per un certo periodo di tempo con la squadra dei migliori keniani, come questi atleti corressero le “tempo run”: “15 minuti di corsa lenta come riscaldamento a cui seguiva un minimo di 20’ di corsa molto veloce ma non al massimo per chiudere con 15’ minuti di corsa lenta a scopo di defaticamento”.
Queste sessioni, prosegue l’articolo, a detta di esperti di livello internazionale sarebbero “importanti per diventare più forti su qualsiasi distanza anche se per sviluppare resistenza non vi è niente di meglio delle corse lunghe. Ed ancora oltre: “per la mezza e la maratona le “tempo run” sono più importanti delle ripetute
veloci”.
Cercando di riassumere i concetti disseminati tra le righe si potrebbe affermare
che il meccanismo fisiologico attivato da questo tipo di sedute d’allenamento è volto a migliorare il metabolismo energetico utilizzando opportunamente l’ossigeno ed innalzando, nel contempo, il limite della soglia anaerobica.
Afferma infatti C. Sharp fisiologo dell’esercizio fisico: “durante le “tempo run”
l’acido lattico e gli ioni di idrogeno, prodotti secondari del metabolismo vengono
rilasciati nei muscoli portando acidità ed affaticandoli” per concludere: “Più sei
allenato (aggiungo a sopportare questa acidità), più in là puoi spingere la soglia, perché i muscoli imparano a metabolizzare meglio gli ioni e tu potrai correre di più
e più forte”.
L’affermazione confermata dalla lettura del testo originale inglese, sembrerebbe
suggerire l’idea che non esisterebbe un limite fisiologico nell’innalzare il punto di
soglia anaerobico mentre autori qualificati (vedi Arcelli in Il nuovo correre è bello)
non esitano ad affermare come esso sia “il più alto valore d’intensità ove esiste
ancora un equilibrio tra acido lattico prodotto e quello smaltito ,in media un valore
dei circa 4 millimoli per litro di sangue”. Sicuramente un valore catalogabile come
impegnativo indice di uno sforzo piuttosto sostenuto senza che ne derivino
particolari conseguenze negative per l’organismo.
I limiti invece esistono ed andrebbero chiaramente precisati per non suscitare
aspettative eccessive in chi pensa di sottoporsi a questo tipo di allenamento e
converrebbe anche ricordare, ancora una volta , come sia imprescindibile
sviluppare preliminarmente un lavoro continuo e progressivo nel corso degli anni
attraverso la pratica del lungo-lento per aumentare significativamente la propria
capacità aerobica vera base su cui poggiare qualsiasi lavoro atletico mirato
compresa la “tempo-run”.
Il vero dubbio riguarda la presunta novità di questo tipo di allenamento che, sotto
un nome diverso, ricorda il “corto veloce” tradizionalmente inteso come una corsa
impegnata seppure non alla stregua di gara per un lasso di tempo oscillante, nella
fase più evoluta, dai 20 minuti ai 40 (minuto più minuto meno), stessi parametri
temporali finali di una “tempo run” dei giorni nostri e corso con le medesime
modalità d’impegno. Sempre citando Arcelli: “questo allenamento ha ho scopo di
ossidare il lattato e, quindi, di riutilizzare questa molecola a scopo energetico”
affermazione simile a quella di Sharp riferita alla “tempo run”, citata nell’articolo in
esame: “devi lasciare gli ioni idrogeno nei muscoli il tempo sufficiente perché si
abituano a metabolizzarli”.
In questa sede mi pare superfluo ricordare come il corto veloce sia preceduto da
un riscaldamento e da un defaticamento successivo alla sua esecuzione: ho
semplicemente fatto questo richiamo, forse superfluo, per sottolineare con questo
particolare un po’ scontato come la distanza tra le due metodiche sia pressoché
minima se non irrilevante sotto tutti i punti di vista…
Cordiali saluti
Pietro cristini

Esito della lettera: non mi è pervenuta alcuna risposta né personale né pubblica.