Jean Echenoz – Adelphi Edizioni

Emil Zátopek (1922 – 2000)

Mi accomodo oggi in questo salotto letterario per provare a raccontarvi e recensire
un libro di sport edito di recente da Adelphi. Qualche runner che segue il blog potrebbe essere interessato a far la conoscenza di una vera icona dell’atletica leggera, della corsa in particolare: un certo Emil Zatopek che, sicuramente, almeno una volta si sarà sentito nominare.
Il libro è quello di J. Echenoz ed è stato tradotto in italiano mantenendo, stranamente, il suo titolo originale (Courir): Correre.

Il suo filo conduttore è la storia di un atleta che si sottopone, con straordinaria determinazione, ad un continuo lavoro atletico stressante (eppure non è mai scoppiato nel corso della sua lunga carriera agonistica) per misurarsi, sempre, con i propri limiti e che ebbe a scrivere: “non corro mai per superare un avversario ma per ottenere un tempo migliore”. L’affermazione potrebbe lasciare di sasso qualche scettico per cui mi affretto a riportare un’ altra, piuttosto significativa: “desidero sempre dare il massimo rendimento” – Né si può d’altronde dubitare della sua sincerità constatando come, spesso, i suoi tanti records mondiali erano ottenuti correndo quasi da solo, sprintando sino all’ultimo metro anche quando gli avversari si trovavano a parecchi secondi di distanza.

Scopre la corsa

Comincia in salita la vita di Emil: deve lasciare anzitempo la scuola perché la sua
famiglia non poteva permettersi di farlo studiare. Inizia a lavorare come apprendista alla Bata, fabbrica di calzature, come rifilatore di suole.
Contemporaneamente si iscrive ad un corso di chimica per diventare qualcosa di più di un apprendista. Ed è la stessa Bata a lanciarlo nel mondo della corsa obbligandolo a partecipare ad una gara aziendale nonostante avesse fatto il possibile per sottrarsi. D’altronde, a casa Zatopek, lo sport è visto come un perditempo, una possibile fonte di spesa per risuolare scarpe usate per correre.
Si presenta comunque al via e, pur correndo in modo strano, giunge secondo subito notato dall’immancabile occhio tecnico. Qualcosa comincia a succedere in lui: non prova più avversione per la corsa e, dopo un po’ di tempo inizia, addirittura, a piacergli. Corre dalla fabbrica al bosco del paese e viceversa sempre al massimo delle sue capacità. Inizia pure a cimentarsi in gare su pista ove vince facilmente gare sia sui 1500 metri che nei 3000.
Comincia così a provare piacere a correre anche se è un piacere che deve ancora assimilare, imparare. Inizia così ad allenarsi in modo insistente: ogni sera dopo il lavoro raggiunge di corsa il paese vicino per ritornare a casa, senza una pausa, percorrendo all’incirca 16 km. Frequenta la pista dello stadio anche se è spossante e lo fa soffrire.
Gli altri coetanei lo considerano un po’ suonato e lo invitano a curare lo stile ma lui, corridore brutto da vedersi in azione, cocciutamente non prende in considerazione i suggerimenti riguardo all’ estetica e continua per la propria strada. Sa che è lento nello sviluppare l’azione atletica e così decide di continuare a correre sempre veloce per contrastare e correggere questa sua lentezza di fondo.
In tempi felici affermerà: “quando la corsa si valuterà tenendo conto della bellezza dello stile ,allora mi metterò ad impararne uno”.
E’ l’uomo teso costantemente alla ricerca dei propri limiti ed al loro superamento:
diventa il primo uomo del suo paese a correre i 5000 metri in un quarto d’ora.
Questa impresa la compie a Zlin, piccolo paese, e quelli di Praga pensano di aver avuto un’informazione sbagliata .Debbono però ricredersi quando, sotto i loro occhi, batterà il record nazionale dei 2000 metri. Nel frattempo la Cecoslovacchia viene liberata dall’occupazione tedesca, si organizzano i primi campionati militari nei quali il militare di leva Emil migliora altri due records.
A questo punto decide di non far ritorno al paese né alla fabbrica iscrivendosi
all’Accademia militare alla quale è subito ammesso. Nei ritagli di tempo si allena
intensamente su pista e supera i suoi precedenti records sia nei 3000 che nei
5000.

I primi confronti con atleti internazionali

Seguono i primi confronti con atleti a livello internazionale dalla falcata felpata: lui
corre come sa, testardamente ed anche malamente stilisticamente parlando, finendo dietro le loro spalle anche se non troppo distanziato.
Prova delusione ma pensa di avere ancora molto da imparare, e, quando viene invitato ai primi campionati europei del dopoguerra è convinto di non essere all’altezza. Preferirebbe non andarci: alla fine decide di partecipare egualmente
anche se deve presentarsi alla cerimonia di apertura con altri 4 compagni con
abbigliamento minimale: pantaloncini e maglietta senza tuta di rappresentanza.
Al via dei 5000 metri trova i più quotati atleti del momento finendo solo quinto:
potrebbe essere soddisfatto ma, ovviamente, non lo è.
Partecipa ai campionati militari delle forze alleate a Berlino in quello stadio ove il Fuhrer si rifiutò di stringere la mano al formidabile Owens. E’ l’ unico atleta a rappresentare la sua nazione, con il solito abbigliamento piuttosto dismesso che
suscita l’ilarità del pubblico presente. Adotta un ritmo sostenuto all’inizio che gli
permette di liberarsi subito degli avversari accumulando addirittura un giro di
vantaggio. Li doppia quasi tutti e insiste ad accelerare mentre Il pubblico, che
prima l’aveva deriso, si alza in piedi e lo sospinge entusiasticamente verso il
traguardo accompagnando le sue variazioni progressive di ritmo.
Tecnici qualificati sono sbalorditi di fronte ad uno stile tanto impuro; si
meravigliano di come sia possibile correre in quel modo strambo facendo tutto ciò
che non si deve fare correndo ma vince, anzi stravince.

Stile di corsa e metodi d’allenamento

Come corre il nostro eroe? Senza eleganza procedendo in maniera pesante e
scomposta, non nascondendo lo sforzo che va a stampigliarsi sul viso contratto,
sofferente e stravolto. A tratti, all’apice dello sforzo, tira addirittura fuori la lingua, ciondola di continuo, mantiene i pugni serrati. Non usa quasi le braccia o le usa in maniera scomposta: i gomiti sono esageratamente sollevati e non riescono ad imprimere una buona spinta. Da questo quadro si salva l’azione armonica delle gambe che mordono e divorano la pista a ritmo variabile.
Corre a modo suo e si allena, altrettanto, a modo suo. Come?
In quel momento storico erano in voga due principali metodologie (ancora oggi presenti seppure con delle varianti): il Fartlek e l’interval training. Il secondo metodo derivava da un’invenzione di un allenatore svedese Olander e prescriveva cambiamenti di velocità all’interno di un allenamento svolto in ambiente naturale, possibilmente su fondo morbido, con modalità aerobica tipica del lungo lento (quindi a basso numero di giri del motore) per abituare il fisico ad un recupero “in corsa”. Il sistema Gerschler o friburghese, invece, raccomandava la pratica prevalente dell’interval training da effettuarsi su pista con velocità di esecuzione elevata ma non superiore alla soglia anaerobica, percorrenza di limitate distanze al fine di consentire un elevato numero di ripetizioni e ripartendo a recupero fisico non completo, trotterellando tra una prova e l’altra.
Emil fa di testa propria: inventa l’interval training intensivo. Tra i due sforzi, cioè
tra le singole ripetizioni, preferisce correre a buona andatura perché pensa che
l’organismo debba abituarsi a riposare in piena corsa e mantenere sempre, in condizione di grande fatica, il ritmo necessario. Sceglie una distanza impegnativa
per intervallare i propri sforzi, i 400 metri, imponendosi carichi di lavoro pesantissimi, ripetendola 100 volte in un giorno seppure suddivisa in due sessioni di lavoro ad un ritmo di 1 minuto e venti secondi.
Gli allenatori di quel tempo consigliavano di mantenere l’intensità dello sforzo
durante gli allenamenti ad un livello più basso di quello di gara. Zatopek pensa e
pratica il contrario sostenendo che l’ allenamento debba risultare molto faticoso
per rendere “facili” le cose durante le competizioni. Si narra che riuscisse a correre nella neve per chilometri indossando i pesanti scarponi militari e che effettuasse esercizi di rafforzamento muscolare in palestra con dei pesi ancorati alle caviglie a conferma della sua coerente impostazione.
E’ un convinto sostenitore di non moderare la velocità quando si avverte la fatica:
in tal modo rafforza la propria volontà, e, appena avverte il rischio di rallentare l’andatura, provvede a dare un’ accelerata. Analogamente imposta la propria strategia di gara adottando uno “stop” (a ritmo lievemente più lento del normale) e un “go” (con aumento perentorio del la velocità). La locomotiva, così viene sopranominato per via delle sue ansimazioni in corsa, in questo suo procedere a singhiozzo stronca gli avversari giungendo al traguardo in solitudine o sprintando sul finale per sopravanzare gli ultimi resistenti.
Si diffonde la voce che abbia un cuore ipertrofico con diametro superiore alla media ma una commissione medica del suo paese afferma che è un uomo normale. Certamente ha educato il suo corpo a queste micidiali variazioni di ritmo, ha trasformato i suoi polmoni in grandi contenitori d’ossigeno che gli consentono di
terminare una lunga gara con uno sfrenato sprint.

I record e le vittorie

Alle olimpiadi di Londra (1948) batte il grande Heino, il campione finlandese sui
10.000 metri e si accontenta del secondo posto nei 5000 metri alle spalle del belga Gaston Reiff.
Ne gli anni seguenti infrangerà il record mondiale dei 10.000 m due volte, migliorandolo in altre tre occasioni nei quattro anni seguenti. Otterrà, nel 1954, il
record del mondo nei 5.000, nei 20 km (due volte nel 1951), nell’ora di corsa (ancora due volte nel 1951) facendo segnare il miglior tempo nell’ultimo chilometro, nei 25 km (1952 e 1955 e, infine, nei 30 km (1952).
E’ pure di una modesti disarmante affermando di aver battuto l’ennesimo record
dei 10.000 metri, “per effetto della qualità della pista e della temperatura ideale dei paesi nordici”.
Arriva a trent’anni alle Olimpiadi di Helsinky (1952) dopo giornalieri allenamenti di 20 chilometri frazionati da lunghi sprint e decide ,contro ogni parere tecnico, d’iscriversi a tre gare: 5000, 10.000 e maratona. Riesce nell’impresa, tutt’ora ineguagliata , di appendersi al collo tre medaglie d’oro.
In maratona, addirittura, si vede un altro atleta: corre più sciolto, assume
un’espressione serena e riesce addirittura a sorridere correndo… è la prima volta.
I soliti detrattori diranno che la corsa più lunga sia stata semplicemente la fotocopia dei suoi normali allenamenti, insomma avrebbe fatto una semplice passeggiata.
E’ comunque l’uomo dagli otto record del mondo su distanze superiori ai 5000
metri anche se comincia ad avvertire un po’ di stanchezza. Nel suo paese, intanto, si cominciano a cogliere i primi segni di un clima politico più disteso con tenui segni
di apertura verso le libertà individuali. I divieti di partecipare a corse all’estero vengono rimossi e così Emil può approfittarne per andare a correre la celebre corsa
di San Silvestro in Brasile e vincerla.
Successivamente s’impone ancora in alcuni cross a livello internazionale mettendo
in fila anche il promettente sovietico Kuts e migliora, a Bruxelles, il suo già ottimo
record sui 10.000.

Il declino

Di qui in avanti, però, inizia una lenta fase discendente: viene battuto da Kovacs, un suo connazionale sui 10.000. Si riprende e, poi, ritorna a perdere. Capisce che i 5000 sono diventati ormai una gara troppo veloce per il suo attuale stato di forma e finisce per dedicarsi solo alle distanze più lunghe programmando di presentarsi alle olimpiadi di Melbourne nella sola maratona.
E’ conscio che il tempo comincia a demolirlo ed infatti dichiara: “ho 33 anni, non ho più la stessa volontà di vincere, corro solo per il piacere di correre” ed è profeta perché viene battuto in patria in una corsa campestre dopo anni d’incontrastato dominio. Cambia anche tattica di gara: evita di produrre continue accelerazioni, si
limita a cambiare ritmo solo negli ultimi chilometri. Non vince più regolarmente ma riesce, egualmente, a migliorare ancora il record mondiale dei 25 chilometri su pista.
E così giunge all’ olimpiade di Melbourne (1956) dove, in una giornata di sole, si
disputa la maratona. Nei primi 20 chilometri si mantiene prudentemente nelle
prime 10 posizioni, rimonta successivamente sino alla 5° poi il suo meccanismo si
inceppa offre lo spettacolo di una falcata legnosa ed al 30° chilometro si ferma
addirittura. Poi riparte correndo in modo scomposto e senza vigore, tiene duro sino allo stadio terminando sesto affondando, dopo l’arrivo, la testa nell’erba gialla per lunghi minuti durante i quali piange e vomita.
Torna in patria, continua a correre ma solo per sé stesso, cioè molto meno. Ha il tempo per occuparsi d’altro, capire cosa succede nel proprio paese. In quei dieci
anni successivi a Melbourne avvengono un po’ di cambiamenti politici e la
Cecoslovacchia diventa repubblica socialista. Poi irrompe Dubcek ed inizia un vero
rinnovamento in senso democratico con maggiore libertà d’espressione per tutti.
Bruscamente i carri armati sovietici interrompono questo nuovo corso e la
popolazione di Praga oppone resistenza. Emil sta con i manifestanti, prende la
parola in piazza, denuncia l’invasione. Il giorno dopo perde il posto al ministero,
viene radiato dall’esercito e spedito a fare il magazziniere nelle miniere di uranio
rimanendovi sei anni.
Dopo questa esperienza verrà richiamato nella capitale a fare lo spazzino con la
gente che continua ad acclamarlo al suo passaggio.Viene allora trasferito in campagna a piantare pali del telegrafo. Richiamato farà autocritica guadagna dosi così un posto al Centro documentazione dello sport.

Il mio commento: il libro descrive l’ascesa, le fortune ed il declino di un caparbio
grande campione del passato dell’atletica leggera con stile sobrio e piacevole
nonché le imprese sportive che, in qualche modo ho cercato di proporre in questa
scheda, segnate, in parallelo, da vicende politiche anche traumatiche che hanno
fatto da sfondo e intersecato pesantemente la sua vita nonché quella di tanti suoi
connazionali…
L’ho scelto perché la sua figura incarna, emblematicamente, un modo d’interpretare gli allenamenti e le gare. Certamente un “esempio limite” forse non più attuale né proponibile al giorno d’oggi pur contenendo qualche prezioso insegnamento anche per i runners del 2000. Innanzitutto quello della dedizione continua ad uno scopo: la corsa, a certi livelli, diventa la missione di vita per tanti atleti, richiede spossanti e prestabiliti allenamenti, mestiere, obbligo, monotematicità. Senza una solida motivazione non è possibile resistere a lungo.
Emil ha incarnato in pieno tutto ciò: si è speso oltre il 100% per il suo paese non
limitandosi a vincere le gare ma ha migliorato in continuazione le proprie prestazioni, ricercando le alte vette, i records. Non era un atleta da proporre
come esempio di bellezza estetica per il modo di interpretare il gesto atletico
complessivo pur essendo dotato di una corsa performante e vincente. In ciò
assomiglia, per certi versi, a quei tanti corridori in giro per il mondo che, con stile
approssimativo e senza troppa razionalità atletica, macinano chilometri,
partecipano a manifestazioni al centro o al fondo del gruppo, senza vincere mai
niente se non il pacco gara. Vanno avanti facendo spesso una fatica infame,
mangiando la polvere sollevata da chi si trova prima di loro. Sanno che, in fondo,
questo è il solo modo che conoscono per correre. Non vogliono copiare nessun
altro, né intendono sforzarsi per cambiare; si limitano a vivere la corsa in un modo
che non convince i palati dei tecnici abituati a ricercare la razionalità atletica.
Anche Zatopek correva “male”, stupendo gli scettici e gli esteti ma vinceva a mani
basse, distinguendosi da quelli che corrono male ma perdono costantemente. Pur
partendo dal basso, come si è sottolineato, è arrivato attraverso un duro e paziente lavoro al top, là dove volano le aquile. Questo suo progredire costantemente nel tempo è,questa sì , una lezione per tutti da tenere presente: ogni giorno dovremmo proporci di correre un po’ meglio o più veloci cogliendo per tempo il momento del declino e imparare a gestirlo, a conviverci senza rimpianti, a darci obiettivi più sostenibili. Altro aspetto che mi ha colpito è il suo essere unico nell’interpretare il modo di allenarsi e vincere, non limitato ad “un copia e incolla” di metodiche inventate da altri bensì diventando ricercatore di varianti proprie correggendo, anche solo in parte quelle esistenti. Lui infatti dichiarava: “non prendete esempio da me perché sono contro tutte le teorie ed i pareri dei tecnici. Il correre è un movimento naturale, lo impara anche la lepre”. Correre a proprio modo potrebbe essere lo slogan parafrasando il titolo di una commedia minore di Pirandello “Ciascuno a suo modo”. Tuttavia in altre sue dichiarazioni individuava nella velocità un elemento decisivo per il rendimento di un atleta così esemplificando. “Se si riescono a percorrere i 100 metri in 15” si possono fare gli 800 in 2’ e i 1500 in 3’ 45” ” (tempi che oggi vanno decisamente aggiornati). Non si devono provare i 1500 se prima non si riesce a scendere sotto i due minuti negli ottocento. Fino a quando non ti senti abbastanza veloce non aumentare le distanze”.
La penultima notazione riguarda il suo modo d’interpretare gli allenamenti sempre
portati all’eccesso, soffrendo molto più che in gara, vivendo con consapevolezza “l’inferno della preparazione” per godersi il “purgatorio della gara”.
Su questa filosofia, da Lui attuata con coerenza e costanza, possiamo interrogarci
per capire se abbia ancora un senso oggi seguirla e praticarla.
Zatopek, poi, si caratterizza anche come cittadino, conoscitore di molte lingue, che non si è limitato solo a correre: si è guardato intorno, ha cercato di capire cosa stava succedendo nel paese, ha aggiunto un fiore alla Primavera di Praga, si è schierato pagando in contanti per le sue idee espresse pubblicamente. Alla fine, chissà perché, è capitolato accumunandosi al destino di tanti uomini assolutamente normali. Il suo testimone è però è lì, piantato per terra. Chi vorrà potrà sempre raccoglierlo…

Post scriptum: la presente scheda libro è una recensione integrata da quegli elementi tecnici che ho ritenuto importanti richiamare per tratteggiare il personaggio e approfondire, nel contempo, alcune tematiche sempre attuali.
Alcune citazioni sono invece tratte da un testo, ormai introvabile, di Frantisek
Kozik – L’uomo che cammina come noi Emil Zatopek- Edizioni Avanti 1954.