Noviello Roberto Rubens – Edizioni Unipress

Concentrando l’attenzione sul titolo di questo libro ed essendo, parimenti, attratti dalla non comune forza espressiva dell’immagine che l’accompagna (la cosiddetta fase di “volo” di un possente atleta le cui gambe sono avvolte da aderenti fuseaux avente per sfondo un cielo a svariate tonalità di blu vivacizzato da minuscole nubi lievemente dinamiche che s’incontra, in prospettiva, con un’ampia strada con fondo di pietrisco marron chiaro, anch’esso graduato nell’intensità del colore) verrebbe da pensare ad un contenuto “sportivo”, ad un racconto di una corsa avente un richiamo originale e un traguardo inusitato: il mare, appunto.
Non si tratta, però, di quanto la visone or ora descritta, può suggerire osservando le accattivanti forme a conferma di come spesso, la confezione di un prodotto di
comunicazione qual è la copertina di un libro, possa sviare, portare altrove.
Si tratta d’altro, di un contenuto più impegnato che, partendo da un’esperienza sportiva quale la Sahara Marathon, descrive, come recita il sottotitolo, “l’odissea di un popolo in fuga”.
Quindi questa corsa verso il mare diventa nei suoi 42 capitoli, quanti, non solo
metaforicamente, sono i chilometri di una qualsiasi maratona, un racconto di innumerevoli spaccati di vita, spesso grama, di un popolo, quello Saharawi, costretto in una degradante situazione umana da ben 35 anni.
L’autore, Rubens Noviello, è un ultramaratoneta veneto: ha corso maratone un po’ in ogni dove e perviene in questo angolo di terra, il Sahara occidentale, tra Marocco, Algeria e Mauritania per disputare questa maratona un po’ particolare che si svolge, con un certo successo di partecipanti di diverse nazionalità, oramai da 10 anni per ricordare il dramma umano di questo popolo del deserto al mondo intero.
Lo sport, la corsa in particolare, sa spesso andare oltre sé stessa, diventare veicolo di nobili ideali, di solidarietà verso i più deboli o sfortunati.
La Sahara Marathon è certamente un caso emblematico di questo “andare oltre” il mero significato tecnico di una maratona.
Nella prefazione, Mattia Durli, l’ organizzatore scrive come anch’egli sia arrivato in
passato a Saharawi con l’idea di correre e fare un bel viaggio. Uno dei molti con il
medesimo obiettivo a cui, però, la corsa e tutto quanto ruota intorno, si è premurata di cambiargli la vita o, se volete, la visone della vita.
Credo che Rubens sia uno di “quei molti” di cui parla Mattia e così, con un transfert, forse imprevisto all’inizio dell’avventura maratona nel deserto, si trasforma da partecipante e esperto di corse di durata in un attento descrittore di quanto accade nei pressi dell’evento sportivo. Lo fa con intensità emotiva e spinto dalla sincera passione di chi si sente coinvolto in maniera piena dalla situazione morale e materiale in cui è costretto a vivere questo popolo senza nazione con a disposizione un territorio inospitale come un deserto, impedito a raggiungere l’agognato mare da un muro lungo 2300 km.
Chi sceglierà di leggere quanto scrive questo podista veneto di lunga gittata potrà
rendersi conto delle ragioni economico-politiche che hanno costretto questo popolo a vivere, da tempo, in 4 campi profughi, della fragilità della loro economia basata
prevalentemente su aiuti umanitari internazionali e sorretta, seppur a stento, dagli effetti economici indotti dalla Sahara Marathon, il ruolo del Fronte Polisario, entrare attraverso un racconto sempre coinvolgente nella vita di tanti Saharawi, nelle loro precarie abitazioni, immaginare i loro occhi particolari, quelli del deserto, occhi fieri di gente profonda.
Un popolo ancorato ad una filosofia di vita fondata sul poco da dividere con tutti, che coltiva un particolare rito del te’ per invogliare il linguaggio del cuore, fatto di intuizioni che vanno oltre il significato delle parole dette, apprendere dell’esistenza quasi miracolosa di un centro sportivo costituito da un campo di pallacanestro, pallavolo e calcetto, di come le loro parvenze di case si stritolino ad ogni pioggia abbondante pur se rara, dell’intensità emotiva di come le donne ed i bambini vivano la vigilia e l’evento corsa di cui sono protagonisti a piedi nudi , seppur su un percorso ridotto, di come, alcuni di loro, riescano ad uscire, seppur per brevi periodi, da quel territorio desolato grazie all’azione di volontari anche italiani…
Un libro non rivolto a chi vuol capire aspetti tecnici di una maratona corsa nel deserto pietroso e, in parte, dunoso tanto che un solo capitolo è dedicato, anche in maniera non esaustiva alla medesima, un limite che avrebbe potuto essere superato inserendo maggiori dettagli ed anche qualche suggerimento pratico per chi, in futuro, vorrà tentare i 42 km in questo deserto.
Per l’autore sono prevalse, nel complesso ed in maniera preponderante, ragioni ritenute più nobili e importanti per la vita di tanti esseri per cui, conseguentemente, ha deciso di devolvere il ricavato dalla vendita del libro a quel Popolo Saharawi che, senza fare tanti discorsi, gli ha preso una parte importante del proprio cuore di runner. Un esempio di come, talvolta, la passione per la corsa possa far approdare a lidi imprevisti anche molto lontani.