Cos’è in essenza una corsa di resistenza? E’ quella corsa che non si esaurisce in un guizzo, in un’esplosione di forza così come si dovessero percorrere solo 100 metri o anche meno. In certi casi non si ha nemmeno il tempo di formulare un pensiero che già si è terminata la distanza con un fiatone grande come un’onda d’oceano.
La corsa di resistenza si traduce in qualcosa di completamente diverso: si sta in corsa molto tempo anche per ore come nella classica maratona, nelle stramaratone, nelle 24 ore di corsa et similia. Comunque anche solo un 5000 metri o un diecimila richiede un discreto numero di minuti per percorrerli, sebbene oggi qualche tecnico vorrebbe classificare queste distanze come mezzofondo veloce basandosi sui tempi stabiliti da alcuni fuoriclasse che s’impongono nei meeting internazionali.
Nella normalità dei casi, e mi riferisco a quelle persone che corrono per stare in salute, per acquisire benessere fisico e psichico, per superare i propri limiti la corsa di resistenza, l’allenamento dura un po’ di minuti variabili secondo la distanza. Un tempo non breve ove il pensiero di terminare in fretta non dovrebbe nemmeno essere preso in considerazione per non distrarre la mente dal conseguimento del proprio obiettivo. Una distanza di 5.000 mt o 10.000 richiede, infatti, una discreta determinazione per completarla senza tentennamenti anche se nel proprio intimo la si vorrebbe quanto più breve possibile per minimizzare la fatica. Sfortunatamente non ci sono scorciatoie, furbizie; occorre continuare a stare in corsa, limitarsi al passo dopo passo, ad una falcata dopo l’altra senza pensare continuamente a quando si finirà e nemmeno consultare compulsivamente il cronometro. Per chi, poi, si azzardasse a bruciare i tempi, a tenere un’andatura troppo elevata all’inizio per voler concludere in fretta andrebbe incontro ad una crisi che lo porterebbe a vivere gli ultimi chilometri con tanta sofferenza.
Oggi tutti noi, sia runners e non siamo impegnati in una corsa di resistenza un po’ diversa da quella podistica senza nemmeno aver scelto di partecipare e senza aver definito un possibile traguardo: dobbiamo rimanere in qualche modo limitati, distanti dal consueto modo di vivere spesso in casa per chissà quanto tempo ancora con sortite da riservare alle cose indispensabili. Gli affetti più cari debbono stare a distanza o frequentati in modo limitato adottando le opportune misure di sicurezza suggerite in continuazione dagli esperti di pandemie. Lo impone questo virus dal nome regale che si rivela in troppi casi poco degno del suo nome provocando un numero elevato di decessi nonché contagi la cui curva si impenna oltre il dovuto e sembra attenuarsi in modo troppo lento dai desiderata di tutti noi.
Ora questo confinamento, lockdown, sia totale che parziale può far discutere e, forse, parecchi non sono convinti di osservare norme limitative e non accettano di stare convintamente relegati entro quattro mura o lasciarle solo per limitati casi muniti di mascherine e disinfettanti . Si tratta di misure variabili da regione a regione la cui base statistica contribuisce a definire un algoritmo che sancisce il colore (rosso, arancione e giallo) delle singole realtà territoriali. Questa procedura pare essere l’unico modo per non far espandere oltre misura la pandemia. Fatta questa breve premessa mi interessa esaminare quale dovrebbe essere un pacato comportamento per traghettare verso una normalità che sicuramente sarà diversa da quella vissuta precedentemente.
Ritengo che i cittadini non runners giocoforza debbano essere in qualche modo simili a chi pratica la corsa di resistenza: inanellare un passo dopo l’altro, estensivamente vivere serenamente giorno dopo giorno le limitazioni praticando la virtù della pazienza nonché quella della perseveranza sino al raggiungimento del punto stabilito, la fine della pandemia. Occorre evitare un atteggiamento che occupi la mente in modo totalizzante sino farlo diventare una vera ossessione, l’unica preoccupazione del giorno e della notte. Non si tratta nemmeno di minimizzare o di annullare il problema perché è realmente esistente convivendo con una mente serena e lasciando fuori dell’uscio di casa ciò che può agitarla. Un buon risultato potrebbe essere quello di riuscire a non ampliarlo a dismisura sino a farsi soccombere e piombare in un umore nero. Inoltre, poco produttivo, sarebbe assumere un “atteggiamento contro”, poco comprensibile di “rifiuto delle regole“ che finirebbe per far lievitare il disagio ed, ancora peggio, vivere il periodo con ansia e paura con l’unico obiettivo di aggiungere un turbamento interiore o coltivare il pensiero del “servirà veramente?”
Ciò che deve aiutare in questa anomale corsa di resistenza è il pensiero che nessun evento o cosa ha una durata infinita: tutto ha un termine, niente dura all’infinito. E’ una legge universale che ha trovato costante conferma nella lunga storia dell’umanità. Anche questo virus se ne andrà; sarà sconfitto o almeno ridimensionato e tutti torneremo ad assaporare nuovamente atteggiamenti, comportamenti che davamo per scontati e, forse, riusciremo ad apprezzare ancora di più la nostra vita che poteva apparirci troppo normale o addirittura banale. Rimane però un enorme interrogativo, altrettanto imponente quanto il Monte Bianco: quando finirà? E qui le cose si fanno difficili per chi è impegnato in questa anomala corsa di resistenza perché, sinora, nessuna barba di statistico o virologo si è sbilanciato nel merito.
I runners di lunghe distanze conoscono in partenza dov’è posto il traguardo, la fine della corsa e regolano le loro forze per terminare la distanza spesso andando a raschiare il proprio fondo del barile mentale e fisico. Questa particolarità, questo conoscere dove si finisce i comuni cittadini attualmente non la posseggono vista l’assoluta carenza di informazioni previsive per cui sono costretti a misurarsi con un “traguardo che non c’è”, ad essere resilienti loro malgrado per un tempo ancora sconosciuto. Qualcosa d’irreale per chi è un atleta abituato ad avere come riferimento il traguardo o la fine di un allenamento; qualcosa di sproporzionato sul piano mentale di chi era abituato a vivere i normali ritmi di vita entro limiti in genere preordinati. Tutto ciò ha un costo in in termini di fatica, di disagio sopratutto per coloro non abituati alla resilienza che sicuramente accumulano più fatica mentale rispetto a quella normalmente sostenuta dai runners nel loro essere corsa. Certamente una prova impegnativa sopratutto per chi è particolarmente fragile sul piano emotivo. Si, è difficile continuare a vivere senza sapere quando la situazione cambierà: questa è però una realtà che non possiamo cambiare. Sicuramente ci aiuterà il vaccino già in distribuzione; occorrerà però ulteriore tempo. Quel tempo che vorremmo breve come la distanza da percorrere per rilassarci dopo aver oltrepassato la linea del traguardo. Attendere con pazienza che passi la nottata diventa il must (l’obbligo) per poter salutare con gioia i primi bagliori di un’alba che dissipi il disagio dell’attuale nostro vivere.
Termino queste opinabili considerazioni con il pensiero rivolto a tutti quei runners che vivono di gare, di continue sfide verso se stessi. Per loro è certamente un periodo non meno impegnativo; devono infatti continuare gli allenamenti senza poter programmare il cosiddetto picco di forma accumunati ai normali cittadini che non conoscono quando potranno tornare alla normalità. Inoltre, sono privi della motivazione, di un vero incentivo per allenarsi: prendere parte a gare, garette in cui misurarsi con altri atleti. Non rimane che esercitare la santa pazienza continuando con perseveranza i lavori atletici per non andare fuori forma mantenendo,se possibile, una visione positiva. Dopo aver percorso questo lungo, oscuro ed anomalo tunnel ne usciranno rinforzati sul piano mentale mettendoli, in futuro, nella condizione di possedere una ulteriore dose di resilienza certamente utile per misurarsi con sfide sempre più impegnative.
Con questo ultimo augurio saluto i miei lettori augurando un possibile sereno 2021.
Commenti di Pietro Cristini