Qui si seguito, tratto integralmente dal mio libro Essere Corsa (nuova edizione 2014), il capitolo che riguarda il Progetto Filippide

La lunga corsa dei ragazzi speciali

Dedicato al giornalista di Repubblica Corrado Sannucci, scomparso nel 2009 a Roma, per ringraziarlo di aver scritto l’articolo attraverso il quale ho potuto conoscere questa esperienza.

Quando la corsa diventa terapia

LA FORZA TERAPEUTICA DEL PROLUNGATO GESTO DEL CORRERE: UNA SPERANZA PER RAGAZZI SPECIALI

Considerando nei capitoli precedenti i vari aspetti della corsa, ho cercato d’illustrare i possibili traguardi fisici e mentali da raggiungere fornendo cenni sulle corse estreme, quelle vissute per sondare i limiti dell’uomo e, magari, superarli.
Credo, però, non possa mancare in questa rassegna il racconto di una pratica dello sport un po’ particolare, specialmente nei suoi obiettivi volti a fronteggiare un avversario subdolo e tenace come la malattia genetica.
Non si tratta più di correre nel tempo libero per ricercare il benessere psico- fisico, gareggiare alla ricerca di qualche briciola di gloria e un po’ di fama o adottare la migliore forma di allenamento. Così come passano in secondo piano i rituali, ritenuti importanti dal corridore, per prepararsi a gareggiare o l’attenzione, talora eccessiva, a ricercare la miglior attrezzatura coltivando, nell’intimo, la segreta illusione di riuscire a correre più veloci. Tutto ciò viene ridimensionato e messo in secondo piano quando si pratica uno sport correndo sulla lunga distanza perché si pensa ch’esso possa contribuire a vivere un presente in modo meno problematico e, sopratutto, costruire un futuro di speranza per ragazzi affetti da conclamata sindrome autistica o con patologie aventi un’alta incidenza di autismo, quali la Sindrome X-fragile, la Sindrome di West, la Sclerosi Tuberosa.
La forza terapeutica emanata attraverso il ripetuto gesto del correre è d’altronde una mia profonda convinzione derivata da tanti chilometri percorsi correndo e confermata dall’opinione di molti medici dei numerosi effetti positivi della corsa sull’organismo umano. Quella apparente ripetizione di gesti atletici costringe il corridore a stare molto tempo a contatto con sé stesso, a volgere l’attenzione più verso l’interno, a dissipare in parte o totalmente il lavorio mentale così da riuscire a realizzare una calma interiore in grado di vedere il giorno più chiaro e la notte meno scura, a stabilizzare l’umore, a stare meglio, semplicemente.
Su questa base, cioè dall’applicazione della semplice formula di star meglio correndo, si fonda la scommessa di contrastare, in qualche modo, le sindromi prima menzionate, una notevole sfida, umana e medica, verso un traguardo impegnativo e non convenzionale.
Non a caso il primo passo nella direzione fisica di questa impresa è stato compiuto da Alberto Rubino, unico atleta autistico al mondo a raggiungere, nel 1999, EV_K2 a quota 5050, campo base per le scalate all’Everest facendo decollare, in modo emblematico, un progetto coraggioso in grado di coinvolgere sempre più giovani autistici tramite il Progetto Filippide.

Obiettivi Del Progetto Filippide

Questo progetto si propone infatti tre importanti obiettivi:

  1. Essere il mezzo per la riabilitazione e abilitazione psico-fisica
  2. Fornire l’allenamento necessario per muoversi a dispetto della disabilità
  3. Predisporre e attuare attività ricreative e professionali per il disabile al fine di promuovere l’integrazione sociale.

Dopo aver mosso il primo ed impegnativo passo con successo Alberto è stato affiancato negli allenamenti quotidiani da altri due ragazzi autistici per prepararsi a disputare la Spitzbergen Marathon, la Maratona che si corre oltre il Circolo Polare Artico, 80° latitudine Nord, nelle isole Svalbard, la più a Nord di tutte le maratone
sinora disputate.
Sicuramente una località estrema, simbolo di una sfida, anch’essa estrema, individuata in collaborazione con il CNR, ove l’organismo, sottoposto a forti stress (luce nelle ventiquattro ore, temperature in media intorno allo zero, monocromaticità spezzata dal pallido colore di qualche fiore in estate), vive uno stato fisico e psicologico tale da permettere l’esaltazione di alcuni dati particolarmente rilevanti per lo studio
dell’adattamento umano a tali condizioni limite.
Il riscontro cronometrico, conseguito sulla distanza della maratonina, è stato di un certo rilievo tecnico rapportato alle particolari condizioni ambientali prima descritte tanto da segnare 1h 47’e 44”…
Nell’anno sportivo 2001_2002 entrano a far parte del Progetto Filippide alcuni atleti affetti da sindrome della X-fragile con l’attivazione di una sezione a Viareggio con l’identico obiettivo degli anni precedenti:
disputare la maratona più a Nord delle altre maratone nel giugno 2002.

Sviluppo e crescita del Progetto

Poiché il progetto è ben articolato sul piano tecnico vengono definite alcune tappe intermedie di avvicinamento all’obiettivo partecipando alla Maratonina Roma-Ostia con due atleti ed alla Maratona di Roma come tedofori alla staffetta della Pace, organizzata dal Roma Marathon Club insieme a personaggi dello spettacolo e dello sport con tre atleti.
Alla Spitzbergen Marathon sono presenti sette atleti e, dopo una settimana di permanenza con allenamenti sostenuti in loco, constatato l’ottimo stato di preparazione atletica ed la forte motivazione verso l’impresa da compiere 5 atleti vengono indirizzati sulla distanza dei 10,000 metri mentre Alberto partecipa alla maratonina finendo sesto e migliorando ulteriormente il suo personale su questa landa dimenticata in 1h 44’e 27”.
Nell’anno sportivo 2002-2003 la squadra del Progetto FIlippide si arricchisce di partecipanti con nuove sindromi e figure professionali che si affiancano agli istruttori di atletica.
Nasce il Centro Pilota per gestire un’intera giornata a 11 ragazzi. Alcuni si dedicano all’atletica leggera allenandosi allo stadio “Paolo Rosi” mentre altri praticano nuoto nella piscina del Centro di Preparazione Olimpica “Giulio Onesti”. Mangiano alla mensa del CONI insieme con altri atleti a livello nazionale, usufruiscono delle aule della Scuola dello Sport per svolgere un’attività ludico-didattica volta alla
comunicazione, verbale e/o scritta, delle proprie emozioni e concludono la loro giornata rifinendo la preparazione atletica presso la palestra del CCS Vigne Nuove.
Innumerevoli gli impegni per la squadra: partecipazione ad uno stage tecnico sportivo presso il Centro di preparazione olimpica presso la scuola nazionale di atletica leggera di Formia, di Rieti, alla maratonina Roma-Ostia ed alla maratona di Roma con una staffetta di quattro atleti per coprire l’intera distanza mentre il resto della squadra partecipava alla stracittadina.
Infine il solito appuntamento dell’8 Giugno 2003 quando 13 atleti, fra i quali una bambina di soli 13 anni affetta da sclerosi tuberosa, si presentano a gareggiare nella maratona del Nord.
Nel 2003-2004 il Progetto riesce a raddoppiare i suoi utenti inserendo nel Centro Pilota di Roma un gruppo di ragazzi di età compresa tra gli 8 e i 13 anni. Ora ne fanno parte 23 atleti disabili, 3 istruttori di atletica leggera, 4 istruttori di nuoto oltre ad una serie di operatori professionali, solo in parte retribuiti, che comprendono uno psicoterapeuta, una psicologa, una logopedista, un operatore professionale, un’assistente sociale, un operatore domiciliare oltre ad un gruppo di volontari per complessive 50 persone A Viareggio sono presenti cinque atleti e 2 istruttori.
Tante le manifestazioni sportive, soprattutto podistiche, alle quali ha partecipato il gruppo. Oltre alle classiche maratone e maratonine del Lazio c’è da registrare la presenza dell’intera squadra sia alla Stramilano dell’Aprile 2004 che alla Maratona di Torino dello stesso anno.
Il salto di qualità avviene nell’anno sportivo 2004/2005 quando il progetto si apre al gruppo dei piccolissimi, cioè sotto i 10 anni di età, inseriti nell’attività natatoria.
Altre figure professionali si affiancano ed aumentano ancora i volontari, vera linfa per le attività svolte e per l’intero progetto.
Sempre tanti gli impegni dalla Maratonina dell’AVAZ di Ottobre 2004, la Vola Ciampino e la maratona di Roma con la partecipazione di ben 100 partecipanti tra atleti ed operatori.
Nel frattempo il progetto si estende sul territorio: nel Maggio 2005 si svolge la prima Maratonina organizzata dal Progetto Filippide “2Etna” a cui partecipano i ragazzi del centro di Roma con una rappresentanza di atleti grandi e piccoli.
Poi l’evento finale, quello sempre molto atteso e sentito: la Spitzbergen Marathon nelle Isole Svalbard nel giugno 2005 con 23 atleti e due cuochi al seguito.
Nell’anno sportivo 2005/2006 il Progetto va sempre avanti partecipando alla competizione dei 5000 metri di Natale e, con i piccolissimi, a far festa allo Stadio Flaminio.
Poi la Corsa di Miguel, la Vola Ciampino e, gran sorpresa, la creazione del Villaggio Filippide. Tutto il team del progetto di Roma, della Toscana e della Sicilia alloggia nelle foresterie del centro, come una vera squadra, preparandosi alla prestigiosa Maratona di Roma.
Poi ancora tanti eventi a scandire un’attività incessante con un’udienza al Santo Padre Benedetto XVI, la I edizione della Villa Ada Race con un percorso nel verde di una delle più belle ville di Roma, la maratonina di Giarre per terminare con la IV° edizione di uno stage in Moena – Val di Fassa.
Nel 2006/2007 si assiste a riduzioni e tagli ai finanziamenti pubblici che coinvolgono, inevitabilmente, anche questo fantastico progetto. A Ottobre 2006 si partecipa alla “Maratonina Nonni e nipoti” a Villa Ada per continuare con la maratonina di quartiere organizzata dalla Parrocchia di San Giuseppe, “Il miglio verde” e i 5000 metri di Natale.
L’anno nuovo con la Roma Ostia, la corsa di Miguel e, per continuare, la Maratona di Roma ove una staffetta di atleti del progetto coprono la distanza nel tempo di 3h e 40’
Poi l’evento clou del 2007 con la Prague International Marathon con 123 partecipanti tra cui 40 ragazzi con disabilità mentale, uno staff numeroso di volontari accompagnati da un’equipe professionale oltre a 18 scout che hanno curato la logistica dei trasferimenti.

Perché la corsa di resistenza è alla base del Progetto

Credo sorga spontanea la domanda del perché si sia stato scelto lo sport, la corsa in particolare per formulare questo particolare ed impegnativo progetto riuscendo a coinvolgere così tanti ragazzi e quale sia l’energia capace di alimentare un’impresa, già impegnativa, se rivolta a persone non speciali.
La risposta si può trovare in un depliant edito dai responsabili del Progetto Filippide e intitolato: “Autismo e corsa di lunga distanza” ove si spiega perché la disciplina scelta è proprio la corsa di lunga distanza:
“Un’attività semplice e naturale che si può praticare all’aria aperta favorendo il contatto con la natura e l’ambiente sociale. L’attività sportiva per i disabili mentali, oltre al beneficio fisico, affina le loro capacità nascoste quali l’autonomia, l’autosufficienza, la capacità di relazioni sociali, di attenzione e stimola la continuità dell’impegno”. L’obiettivo primario diventa quello di favorire ed accrescere, nel soggetto disabile, una maggior autostima tale da conferirgli sicurezze e motivazioni sufficienti per indurlo a credere nelle proprie potenzialità. Una sorta di farmaco invisibile proveniente dal fare sport, dal correre ed in grado di agire nel profondo cambiando il quadro di riferimento psicologico del praticante. Innanzitutto
trasmettendogli la sensazione di essere vivo e non inutile, capace di muoversi in modo altro ma comunque in grado di esprimere una sequenza di atti atletici, di relazionarsi con altri per cercare di uscire dalla propria sofferenza e disagio, rafforzando la propria autostima o, semplicemente, attivandola. Quando si raggiunge
un obiettivo, e lo sanno bene atleti e non atleti, si è contenti, soddisfatti, c’è gioia dentro sé stessi. Sono sensazioni benefiche, aiutano a ravvivare la vita, a guardare avanti al prossimo passo con fiducia. Ora questi meccanismi psicologici, appena descritti, non possono essere neutri sull’individuo ma agiscono, nel profondo,
operando una trasformazione in positivo. Ecco perché credo nella validità di questo progetto non solo sul piano sportivo ma anche su quello medico, pur se in modo non convenzionale C’è serietà e sensatezza nel cercare di non limitarsi a intervenire nella malattia solo tramite il farmaco chimico ma a ricercare anche l’altro farmaco, quello presente dentro lo sport, fatto di sensazioni e motivazioni anche terapeutiche
difficilmente catalogabili con gli schemi tradizionali ma capaci di lenire la sofferenza ed il disagio.
A questo riguardo mi fa piacere citare la lettera di un genitore, padre di un ragazzo autistico, inviata alla Gazzetta Sportiva di domenica 10 Giugno 2007. ”Alessandro, questo il nome del bimbo autistico, ha cominciato a mostrare interesse per il calcio che si è rivelato per lui una vera e propria terapia, in quanto lo ha aiutato a sviluppare la capacità di relazione, una sorta di scudetto per un soggetto portatore della sua
sindrome…è riuscito ad inserirsi in una squadra dove è stato accolto meravigliosamente … … e il 14 Aprile scorso ha persino esordito in un campionato giovanile ufficiale. Nel vederlo correre dietro al pallone mi sono scese sul viso lacrime di gratitudine verso Dio per avermi donato Alessandro, il quale mi ha insegnato che
possiamo vincere sempre e comunque, se riusciamo a superare la nostra “disabilità” di vivere ed amare”.
Una toccante testimonianza che, credo, si possa raccordare idealmente al Progetto Filippide pur vissuta in un ambito diverso ove la corsa è pur presente, sebbene con modalità diverse da quella di resistenza.
Nel calcio la squadra e la corsa convivono naturalmente mentre nell’atletica leggera la corsa è, quasi sempre, uno sport squisitamente individuale anche se il progetto riesce a farla vivere con spirito collettivo, di squadra per favorire i contatti, attivare le relazioni ed una più spontanea comunicazione tra i singoli componenti, così come avviene quando si disputano staffette su pista o strada ove il legame tra gli
staffettisti diventa unico e particolare come se la prova fosse effettuata da un solo atleta.
Viene anche sottolineato come si ricerchi la comunicazione non limitata a quella cosiddetta verbale ma, soprattutto, quella motoria. Nel partecipare ad un evento sportivo, ad un allenamento si corre e, nel contempo, si comunica ad altri il proprio atto motorio, si socializza il gesto atletico. Le persone esterne finiscono, spesso, per essere contagiate da questa particolare comunicazione manifestando un’empatia
partecipativa talora di tipo attivo. Accade così di vedere spettatori correre accanto agli atleti lungo i tracciati podistici o sulle strade in occasione di gare ciclistiche, soprattutto in montagna. Sicuramente in questi casi ha funzionato la comunicazione legata all’atto motorio sino a diventare così efficace per riuscire a svolgere una
funzione di stimolo nei confronti di altre energie latenti coinvolgendo, seppure in modo parziale e limitativo, alcuni degli spettatori all’evento sportivo.

L’effetto Forrest Gump

Definirei questo risultato partecipativo indotto “effetto Forrest Gump”. Chi di voi ha visto quel bellissimo film ricorderà come il protagonista continuasse a correre da un capo all’altro dell’America e come, giorno dopo giorno, si unissero a lui sempre più persone per seguirlo nella sua corsa tanto che ad un certo punto arriva a pensare di essere riuscito a dare una speranza a molti di loro.
Anche i nostri ragazzi speciali, correndo, riproducono una sorta di effetto Forrest comunicando ad altri il loro movimento, alimentano il progetto con la loro entusiastica partecipazione, lo ampliano dando speranza a chi sta disperatamente cercandola. Senza magari esserne consci, inviano un preciso messaggio non verbale
a chi li vede praticare sport. Invitano altri disabili a superare la tendenza a chiudersi in sé stessi, a far considerare a qualche genitore di ragazzi disabili l’opportunità di far praticare sport ai propri figli e farli uscire dal loro isolamento.
Un messaggio trasmesso con efficacia dai componenti il gruppo nelle innumerevoli manifestazioni sportive a cui hanno partecipato e documentato in modo dettagliato in questo capitolo. Vere e proprie sfide verso loro stessi ponendosi obiettivi capaci di essere i veri propulsori del loro agire.
La corsa in questi casi non è più fine a sé stessa, ricerca di sensazioni gratificanti ed appaganti ma diventa finalizzata a partecipare a manifestazioni anche di prestigio ed a forte impatto emotivo alle quali il ragazzo aderisce con entusiasmo insieme al gruppo. Si partecipa alla maratona di Praga, tanto per citare uno degli eventi sportivi più recenti vissuti dal Progetto, per correre in gruppo, per vivere l’esperienza insieme ad
altri volontari e compagni d’allenamento, per coinvolgere le famiglie degli atleti disabili.
Essere riusciti a far convivere l’esperienza individuale della corsa come un momento aggregante di gruppo è un merito grandissimo che va riconosciuto a chi tiene le file organizzative di questo progetto.

Ruolo e motivazioni dei volontari coordinatori

Così mi è stato raccontato del modo intenso e convinto con cui si vive questa esperienza da parte dei coordinatori che operano con i ragazzi a vario titolo: un modo d’essere particolare, un serio tentativo d’attivare una comunità vera con al centro il valore dell’uomo nelle sue svariate articolazioni, di cui l’handicap è una colorazione particolare e con l’ambizione di creare anche opportunità di lavoro a persone sensibili e preparate. Una scelta per vivere la propria esistenza, insieme a quella di altre persone più svantaggiate sul piano umano; una visione così alta da essere sicuramente in grado di portare lontano il Progetto e attivare innumerevoli iniziative per molti anni ancora.
Un gruppo motivato che aiuta concretamente i volontari ad affiancare i ragazzi speciali dando loro una qualificata e professionale formazione oltre ad una supervisione non solo tecnica che viene attuata dall’assistente sociale e dagli operatori professionali che conoscono bene i ragazzi e la loro invalidante patologia.
Così si vive accanto a queste persone instaurando un feeling, un sentire particolare, un’affinità difficile da codificare e spiegare. La modalità di lavoro è fondata su una relazione tra due persone (volontario e ragazzo) con dei punti di contatto sul piano psicologico, una sorta di applicazione particolare del principio con cui funziona l’omeopatia ove la cura è basata sul principio della similitudine. Il raffronto non mi sembra fuori luogo considerato il valore terapeutico, sotteso al progetto, cioè quello di riequilibrare l’energia derivante dal disordine genetico. Il tutto attuato attraverso un rapporto numerico piuttosto impegnativo costituito da un volontario per ogni ragazzo, idealmente “potenziato” dall’energia proveniente da quel particolare feeling di cui abbiamo parlato.
Ogni ragazzo fa quindi riferimento ad un volontario al momento dell’allenamento tanto da creare, nel tempo, una quasi dipendenza; lo cerca in ogni occasione per portare avanti il programma previsto e stare, soprattutto, insieme.
Nell’ambito di una sessione di allenamento svoltasi presso il campo dell’Acqua Acetosa di Roma, stadio Paolo Rosi, sono stato colpito dal clima d’allegria e di divertimento presente tra i partecipanti. Nessuno era preso troppo sul serio ma nessuno veniva dimenticato; tutti erano in grado di rapportarsi agli altri in modo
spontaneo, sembrava addirittura di trovarsi tra amici di lunga data. C’era una parola, un abbraccio, un sorriso per tutti. Quando superano questo cancello i nostri ragazzi sono felici anche se sanno che, dopo, “dovranno faticare”. Non è solo un’affermazione di una volontaria ma una verità verificata personalmente.
Anche il livello di comunicazione presente era variegato: da quello più ciarliero, espressione di una particolare sindrome, di una ragazza molto allegra ed espansiva a quella più profonda di altri dovuta ad un’intesa sicuramente costruita durante questi anni, legata al linguaggio del corpo e intessuta di intuizioni.
Poi, dopo questo riscaldamento psicologico fatto di ammiccamenti, scherzi, ci si prepara a vivere la giornata di lavoro atletico. Ogni ragazzo viene abbinato ad un volontario in un tandem non definitivo ma che subirà una necessaria, quanto utile, rotazione ogni mese o periodo ritenuto necessario per permettere ad altri volontari di trasmettere la parte migliore di loro stessi anche ad altri ragazzi, soprattutto il loro
equilibrio. Alla fine di questa turnazione dovrebbe essersi verificato un transfert completo e stabilizzante per la psiche del ragazzo e arricchente per quella dei volontari.

Un normale giorno d’allenamento e programmi di lavoro

La successione di una giornata dall’allenamento è piuttosto precisa con una serie di rituali a cui i ragazzi mi sono sembrati molto affezionati; essi sentono il bisogno di conoscere in anticipo quali saranno le cadenze di lavoro o di svago e non amano le sorprese, l’andare oltre quello ch’essi si attendono è fonte d’agitazione.
In omaggio a questi principi dopo il warm-up o momento d’accoglienza, il ritrovarsi, si passa all’attuazione della parte atletica del lavoro previsto. La responsabile della costruzione atletica detta l’agenda: “oggi si corre per un’ora con l’invito a rinfrescarsi spesso per via delle alte temperature”. Lentamente ci si avvia alla partenza accanto al proprio angelo custode e si inizia, così, a correre lungo un percorso esterno alla pista
d’atletica. Il gruppo si sgrana subito con alla testa coloro che, pur in presenza di un’andatura di lungo lento, riescono a tenere un ritmo discreto seguiti da altri con andature più blande. Tutti procedono senza accelerazioni ma tenendo un passo piuttosto costante. Ad osservarli non ti appaiono nemmeno troppo scomposti nella loro azione atletica, potrebbero essere scambiati per dei normali amatori senza infamia né lode che, a volte, incontri nei parchi cittadini. Qualcuno in verità arranca e procede come può ma il colpo d’occhio dell’intero gruppo non è sgradevole e, a tratti, appaga la vista dell’osservatore attento. Chi, vedendoli, sarebbe in grado di dedurre il loro vissuto e la loro sofferenza?
Poi, continuando nei chilometri, molti cominciano a scomporsi, ma con tenacia continuano a seguire i volontari che insistono incoraggiandoli ed incitandoli a proseguire. Un paio vorrebbero addirittura smettere di correre ma vengono riportati sulla retta via da determinatissimi volontari con metodi poco compassionevoli per la verità. Il dover fare, l’andare avanti fa premio su manifeste difficoltà a terminare il percorso stabilito. E il metodo funziona e, anche il più riluttante, dopo una strapazzata verbale, riprende a correre addirittura con maggior lena.
Tutti comunque palesano una buona preparazione atletica di base in grado di portare a termine il lavoro previsto anche in presenza di condizioni climatiche limite viste le alte temperature di una giornata di sole romana del solstizio estivo.
D’altronde, tutti, provengono da un serio lavoro di preparazione i cui capisaldi mi sono stati illustrati dai qualificati responsabili per la parte atletica Prof. Nicola Pintus e Donatella Picone, quest’ultima istruttrice FIDAL e partecipante al progetto da diversi anni.
È un’interessante traccia di lavoro articolata su tre macrocicli in grado di portare i ragazzi a misurarsi con tre eventi sportivi importanti, le loro mete.
Il primo inizia ad Ottobre per concludersi con la prova dei 5000 su pista in prossimità di Natale.
Nel primo mese si pratica la corsa di resistenza con l’obiettivo di raggiungere l’autonomia di un’ora di corsa su un percorso pianeggiante e misurato mentre nel secondo ci si inoltra nei percorsi di Villa Ada, situata in prossimità all’usuale campo d’allenamento dell’Acqua Acetosa, sempre attuando la corsa di resistenza. Questa uscita dal campo d’atletica non è solo importante per cambiare lo scenario d’allenamento ma per aiutarli a vivere nella città, affrontando attraversamenti di strade attigue al campo d’allenamento.
Quest’ultima attività viene svolta con qualsiasi condizione atmosferica. I ragazzi vengono abituati ad affrontare, durante la loro preparazione atletica, le diverse condizioni climatiche, come fanno d’altronde gli atleti di alto livello. Il tutto si conclude nel mese di Dicembre con sessioni di ripetute cronometrate sui 1000
metri Il migliore dei ragazzi, tanto per entrare nel tecnico, fa registrare 4’15” mentre la media si attesta su 4’e 50”.
L’uso del cronometro, oltre a stimolare i ragazzi a far sempre meglio, riesce a sviluppare una sana e sorprendente competizione rivelandosi un prezioso ausilio e compagno d’allenamento.
Nel secondo periodo, comprendente i primi mesi dell’anno, il gruppo si allena compatto per consolidare, attraverso la corsa di resistenza, il traguardo dell’ora di corsa. Taluni, i più versati nella corsa, si spingono anche oltre.
In Marzo ci si predispone a raccogliere i frutti di tanto lavoro iniziando la preparazione per la Maratona di Roma. Si provano gli accoppiamenti ragazzi/operatori, si studiano i tempi per la frazione della staffetta mentre la preparazione per il resto del gruppo è finalizzata alla partecipazione della stracittadina di 4 Km.
Ad Aprile e Maggio si avvia la preparazione per la Maratona che, nel 2007, è stata quella di Praga. Il lavoro è concentrato sulla pista di atletica sulla distanza dei 5 km, preceduto da 20 minuti, corsi a ritmo lento, di riscaldamento sull’anello esterno al campo su ghiaia ed erba. Il ritmo su pista alterna giri di corsa “allegri “ a giri “lenti” di recupero; questa metodica oltre a diversificare l’allenamento e abituare a ritmi
diversi, riesce a divertire i ragazzi.
Il mese di Giugno conclude l’attività annuale con 2 o 3 gare soprattutto per i ragazzi della staffetta e prevede un gran finale in pista con giochi e premi per tutti.
Come avete potuto dedurre dalla lettura di quest’ultima parte dedicata alla preparazione atletica viene seguito un programma con precise finalità, costellato di verifiche e con partecipazioni a competizioni anche importanti.
I risultati atletici non mancano ma quelli veri ed essenziali si traducono in miglioramenti relazionali, in positivi cambiamenti psicologici orientati ad affrontare la vita con un minor carico di sofferenza, nel riuscire a ridurre, in parte, la dipendenza dai farmaci chimici.” Queste sono le nostre gratificazioni”, mi dicono due
volontari, così non saltiamo nemmeno un appuntamento con loro perché sappiamo che i ragazzi sono qui ad attenderci”.
C’è comunque un ulteriore e non trascurabile effetto indotto dai volontari e dai ragazzi: essi riescono ad animare, con la loro presenza, la struttura dell’Acqua Acetosa, a vitalizzarla con la loro corsa di gruppo, a donare un po’ di bellezza a quello che, un tempo, era considerato uno dei templi dell’atletica leggera italiana e che oggi presenta, visibili, i segni di decadenza anche nella manutenzione…
Accanto all’attività atletica per i ragazzi c’è, poi, l’impegno del Progetto a seguire le loro famiglie con ogni tipo d’informazioni legate alla programmazione delle attività, trasferte, riunioni ed incontri.
Un servizio di segretariato sociale, attivato dall’assistente sociale e da una sua tirocinante, opera per tessere un vero cordone di servizi intorno alle famiglie e aiutarle in una serie di pratiche burocratiche molto faticose e impegnative, a contattare le varie realtà che ruotano intorno al ragazzo: cooperative, Asl, centri
diurni. Il confronto e lo scambio d’informazioni sono utilissime per prenderli in carico in modo completo.
Quando arriva un ragazzo la famiglia porta con sé un carico di disperazione e speranza ed il Progetto, facendo tesoro di anni di esperienza su casi simili, prova a dipanare la complicata matassa che avvolge la famiglia ed affronta con il ragazzo un lavoro di riacquisizione di abilità e autonomie, a volte disperse o nascoste, proprio attraverso lo sport favorendo l’integrazione con gli altri. Nello stesso tempo cerca di far capire alle famiglie quale risorsa importante è il ragazzo per la società, stimolando le potenzialità latenti e le risorse infinite che la patologia del figlio a volte nasconde.
Tutte queste attività, questo nobile lavoro necessita, ovviamente di un supporto economico ed Il Centro Pilota del Progetto Filippide di Roma, attivato nel 2002, è stato sostenuto sinora economicamente grazie all’impegno del Comune di Roma che però attualmente per le note difficoltà finanziarie degli enti locali viene messo in forse.
In occasione degli eventi si creano delle partnership, per lo più temporanee, con aziende private che forniscono risorse economiche o materiale utili per la realizzazione dell’evento.
Il mio augurio è quello che possano esserci sempre più volontari e ragazzi aggregati al progetto Filippide, che sia possibile alimentarlo con una gara di generosità da parte pubblica e privata.
Chi legge, poi, può mettersi in contatto e donare un po’ del suo tempo o denaro per contribuire a mantenerlo vivo, a svilupparlo. Potrebbe essere un modo per superare l’handicap di donare, amare e vivere e, forse, dare un senso alla propria vita.

Recenti sviluppi ed aggiornamenti del Progetto

Le sedi regionali
Dal 2008 le sedi regionali del Progetto Filippide aumentano vertiginosamente e, ad oggi, la realtà del Progetto è radicata in ben 10 regioni (Lazio,Toscana, Marche, Basilicata, Calabria, Lombardia, Campania, Sicilia, Sardegna, Piemonte ) con circa 15 città coinvolte, compresa Torino, ove dal 2013 opera una Onlus denominata Autismo e Società (www.autismoesocieta.org) con il progetto Autismo e Sport che prevede tre
settori di attività sportiva : corsa di resistenza, nuoto e canottaggio.

La qualifica di Associazione benemerita
Il 17 dicembre 2010 il C.I.P (Comitato Italiano Paralimpico) riconosce il Progetto Filippide come Associazione Benemerita insieme a Special Olympics e Panathron, uniche tre associazioni benemerite del CIP.

La formazione permanente
Negli ultimi anni si è reso necessario curare la formazione non solo di nuovi operatori e volontari ma anche aggiornare, rifinire, potenziare quella degli operatori professionali e volontari che lavorano al Progetto già da diversi anni. Si costituisce quindi una sorta di comitato scientifico costituito non solo da relatori interni al
progetto ma anche medici, neuropsichiatri che collaborano con il progetto da diversi anni.
Questo gruppo di lavoro, si occupa anche di trasferte presso le sedi regionali nuove, dove c’è un concreto e reale interesse a costituire un gruppo di Progetto Filippide.

La squadra di nuoto sincronizzato
Nel 2009 oltre al gruppo già avviato dell’atletica e quello del nuoto diviso nelle sue realtà (scuola nuoto, promozionale e agonistico) viene costituito un piccolo gruppo di nuoto sincronizzato aperto a bambine e ragazze portatrici di sindrome down, sulla spinta dell’entusiasmo di due istruttrici di nuoto, Chiara Azzali e Alessia Lucchini, ex nazionali di sincro che nel corso degli anni riesce ad imporsi a livelli nazionali e
internazionali con significative prestazioni.
Ormai le famiglie seguite dal Progetto Filippide sono più di 80 e la lista di attesa per inserire ragazzi con sindrome autistica si è allungata al punto da dover trovare soluzioni alternative.

La risposta sul territorio: la municipalizzazione
Un tentativo di decentralizzare il Progetto Filippide su Roma è attuato attraverso la municipalizzazione che prevede di formare nei municipi interessati, attraverso un corso teorico e un tirocinio pratico, operatori sportivi coordinati da un operatore professionale che già lavora nel Progetto Filippide e rispondere così alle esigenze del territorio. Grazie alla dirigenza dell’ASL RMC dal novembre 2011 in VI municipio è partito un gruppo Filippide e, a giugno 2012, nel XII municipio ha preso il via un altro gruppo Filippide che si allena, nel prestigioso Centro Sportivo dell’Esercito della città militare della Cecchignola.

Il sito di riferimento e la newsletter
Grazie ad una nuova figura, quella del Responsabile delle Relazioni esterne e della comunicazione, il Progetto Filippide ha ormai un sito aggiornato dinamico e la possibilità, attraverso newsletter periodiche, di raggiungere tutti i sostenitori e gli amici.
www.progettofilippide.itsegretria@progettofilippide.it