E’ troppo tempo che frequento il mondo della corsa; posso dire con una punta di orgoglio che ne ho fatto attivamente parte per più di 50 anni seppur con modalità diverse. Non più oggi in quanto il fisico, forse logorato dai tanti balzi che la corsa richiede, e, sopratutto, a causa dell’età sono fuori dalla pratica attiva. Così mi limito a scrivere della corsa, (1) esserne parte da esterno, a bordo campo come direttore tecnico del Progetto corsa per ragazzi autistici per la onlus Autismoesport di Torino.
In questi giorni un tema sembra stia appassionando il mondo dei runners: sul mercato sono apparse da qualche mese un nuovo tipo di scarpe da strada e pista con prezzi da capogiro ( il doppio dei modelli più cari). Sono già stati collaudati da top runners di livello mondiale alla ricerca di records sempre più prestigiosi. In particolare mi riferisco all’abbattimento del muro delle 2 ore da parte di Eliud Kipchoge a Vienna
nella maratona sia pure solo ufficiosamente. Sono scarpe non certo alla portata di tutti proprio per le caratteristiche tecniche richieste al runner che dovrebbe indossarle oltre a quelle strettamente economiche come detto.
Un esperto come Stefano Baldini, vincitore della maratona Olimpica di Atene del 2004, ne limita l’uso a chi “appoggia il piede di punta o pianta e non di tallone e dotato di una falcata di almeno un metro e 70/80 cm”. Caratteristiche che tagliano fuori una gran pletora degli oltre 200.000 runners amatori italiani molti dei quali semplici “ tapascioni” la cui corsa è più simile ad una camminata veloce che non una corsa vera e propria la cui caratteristica è quella di staccare per pochi attimi entrambi i piedi dal suolo quando si procede correndo.
Ora questo soffermarsi ad inseguire innovazioni frutto di elaborate ricerche per favorire l’efficacia della spinta in corsa mi sembra che si finisca di trascurare e approfondire un aspetto fondamentale, il vero senso della corsa, la sua indiscutibile capacità di apportare all’organismo benefici atletici e mentali. Di questi ultimi occorrerebbe parlarne più diffusamente non tanto per snobbare le novità tecniche quanto per invitare il runner a concentrarsi maggiormente su cosa prova mentre inanella un passo dopo l’altro. Nel mio ultimo libro “Correre con la testa” giungo a sostenere che la corsa possa diventare una sorta di sessione di meditazione ponendo attenzione alla respirazione nonché ai movimenti del corpo compiuti nel procedere dinamicamente con conseguenti grandi benefici mentali e immancabili riflessi positivi che si riverberano sulla vita di ogni giorno.
Tornando al punto mi sento di affermare che l’argomento delle scarpe negli anni sessanta proprio non si poneva come prioritario e non affascinava più di tanto: addirittura i runners di allora , davvero pochi rispetto a quelli odierni, nelle campestri o giri podistici indossavano scarpe normali o semplici scarpe da tennis da tennis. C’è una fotografia a questo riguardo nel mio primo libro “Essere corsa _2a edizione” pag 261) che dimostra quanto affermo. Poi, con il trascorrere degli anni c’è stata una impressionante escalation di modelli sempre più sofisticati ove un efficace marketing dei produttori invitava ad acquistare quelli presentati come più performanti e, spesso, piuttosto costosi. Francamente era ed è piuttosto difficile sottrarsi a queste sirene per cui quasi tutti i runners, me compreso, han finito per provare più modelli per migliorare i tempi o semplicemente le proprie andature.
Diventava un argomento di discussione insieme alle metodiche di allenamento. Io mi sono sempre orientato sulla fascia di prezzi medi essendo convinto che la scarpa non faceva diventare più veloce un atleta non forte. Oggi però con queste super scarpe questa mia convinzione è messa in discussione ed i tempi ottenuti lo dimostrano: atleti anche poco blasonati come un certo inglese, Elliot Gilles, è riuscito addirittura a superare il record inglese degli ottocento metri di Sebastian Coe ai tempi un mostro sacro per vittorie, records nonché sublime come tecnica di corsa, con un fantastico 1’43”63 seconda prestazione mondiale di sempre. Già si pensa che oramai il mondo podistico sarà, in un prossimo futuro, diviso tra chi potrà permettersi le scarpe che volano e chi no creando di fatto una disparità inaccettabile sulla linea di partenza.
Hugo Hay, mezzofondista francese di vertice, è tra i pochi ad aver confessato, al quotidiano l’Equipe, i suoi dubbi sul fronte etico: «È assurdo che i miei colleghi neghino i vantaggi: quando appoggi il piede senti che la spinta si moltiplica. non riuscire a capire quanto c’è di tuo in un record e quanto deriva dalle scarpe è avvilente. E l’idea che un avversario abbia scarpe meno performanti delle mie mi mette a disagio».
Sottrarsi al fascino di volare in corsa non indossando uno speciale paia di scarpe non sarà facile. Comunque, come sempre, è praticabile una più sobria alternativa, davvero alla portata di tutti: praticare un podismo meno tecnologico, più puro, mettendo l’essenza della corsa al centro della nostra attenzione. Quella che potremmo definire primordiale fatta di piccole o grandi sensazioni inappagabili, di piacevoli corse in mezzo alla natura con normali calzature che non volano e, meraviglia delle meraviglie, prodursi in una rilassante corsa a piedi nudi su un prato appena sfalciato intriso di rugiada nelle prime ore del mattino. Si proverà una sensazione indimenticabile che, davvero, gratifica tutto il vostro essere proiettando la mente verso il cielo sino a toccare,idealmente, le nubi con un dito.
(1) Essere corsa 1a e 2a edizione Edizioni del Faro . Correre con la testa Fusta Editore
Commenti di Pietro Cristini