Carlo Degiovanni – Fusta Editore

Il recente libro di Carlo Degiovanni si presenta sul mercato librario con una copertina accattivante dove il clik del fotografo è riuscito, con maestria, a cogliere un signor runner delle montagne impegnato in una sua particolare specialità: scendere a rotta di collo dalle vette. Non una discesa qualunque: un balzo che simula un volo con i piedi completamente staccati da terra, un Icaro montanaro in splendida forma. Lui può permetterselo: è il suo pezzo di bravura, quello che lo caratterizza maggiormente pur presentandosi come atleta completo, senza punti deboli e dotato di grande potenza resistente come sostiene il suo mentore nonché scrittore. Non è difficile individuarne la sagoma: è quella inconfondibile di Paolo Bert. Il volume ricorda, tra l’altro, le sue innumerevoli vittorie, i tempi straordinari fatti registrare sui i più svariati percorsi montani non solo piemontesi. Un palmares straordinario e di alto livello.

Quando il lettore si inoltra nelle 251 pagine del testo si viene proiettati in un
susseguirsi di racconti delle tante marce alpine (termine tecnico, oramai desueto,
espressione di salite muscolari e discese tecniche a cui Carlo sembra particolarmente affezionato manifestando un attaccamento senza mezze misure) svoltesi in quasi mezzo secolo nell’ambito ambito territoriale piemontese a partire dalle valli del Torinese, Canavesane, Cuneesi, Eporediesi e, con minor frequenza, Aosta e Sesia.

Tra le righe si colgono significativi sprazzi di ironia e tanta passione, la stessa che
lo contraddistingueva negli anni della sua militanza atletica e che, ora, mette a servizio nell’organizzare eventi sportivi riguardanti la corsa nelle più varie declinazioni: speakeraggio, momento organizzativo, presentando e rendicontando con puntualità i numerosi appuntamenti agonistici. A ciò vanno aggiunte le tante attività in cui da anni è impegnato essendo considerato un sicuro punto di riferimento per chi si occupa, sopratutto, di corsa in montagna. Nel suo narrare
esprime ammirazione sia per gli immensi campioni che per altrettanti anonimi i
faticatori come ama definirli con originalità.

E’ francamente difficile in questa breve recensione menzionare i tanti “runners del cielo” da lui citati detentori di tempi impressionanti, di sudate e ripetute vittorie per cui mi limiterò a ricordare coloro che con maggior frequenza ho incontrato nelle sue pagine scusandomi per eventuali omissioni: Gino Long, Willy Bertin, il compianto Domenico Brunofranco a cui è peraltro dedicato il libro, Felice Oria, i fratelli Ruffino, Marco Treves, Mario Anreolotti, Silvio Calandri, Giovanni Battista Bellone, Dario Viale, Marco Olmo, Carlo Dalmasso, Giuseppe Genotti, Marco Sclarandis, Erminio Nicco, Marco Morello, Bruno Brunod, Mauro Boglino, Gabriele Barra, Livio Barus nonché il precursore e guida alpina Livio Berta pioniere della conquista sportiva del Monviso, il Re di Pietra per terminare con gli stratosferici gemelli Dematteis atleti completi con ottimi tempi anche in pista e su strada autori di una recente super performance in 1h 40’ 47 per domare la cima del Monviso. Per l’altra metà del cielo che, sopratutto negli anni recenti, riesce ad affermarsi con eccellenti prestazioni cronometriche in una specialità declinata all’inizio prevalentemente al maschile spiccano i nomi di Paola Didero, Ornella Bosco, Claudia Priotti leader femminile della storica atletica Cavour, Camilla Magliano.

Stessa difficoltà incontro a segnalare le tantissime marce alpine citate con dovizia di particolari e gustosi aneddoti. Mi limiterò a menzionare le tante classiche a me più note: Monte Servin, la classicissima Tre rifugi di Bobbio Pellice, Trofeo Chaberton, Le tre funivie, Marcia alpina di Castelluzzo, la prima edizione del Giro del Viso (1967), al tour Monviso International Trail, Race e walk per terminare con l’esperimento, davvero coraggioso, delle 100 miglia del Monviso portata a termina da una manciata di temerari faticatori, Trofeo rifugio Gastaldi, Santa Elisabetta Quinzeina, Ivrea-Monbarone, Tavagnasco.

Sicuramente il libro consegna al lettore appassionato di queste vicende e non solo
una indelebile traccia di cosa ha significato il mondo della marcia alpina ( continuo
a denominarla così a dispetto delle nuove e svariate terminologie anglosassoni
skyrunnning, trails ect con contenuti tecnici diversi da quella considerata storica)
per i tanti appassionati che le hanno frequentate a partire dai pochi iniziali e
selezionati partecipanti davvero molto competitivi dell’altro secolo ai tanti dei più
recenti anni che si sono avvicinati a questa specialità alpina così impegnativa sul
piano atletico e psicologico. E’ di palmare evidenza cogliere un’evoluzione tecnica
nei tracciati ora più “ addomesticati” rispetto a quelli del passato come nel caso
della “corsa in montagna” targata Fidal e, sopratutto, nel modo di interpretarla
contemplando una figura impensabile negli anni ruggenti, poco quotata
atleticamente come quella del finischer ( chi porta a termine la prova senza essere
ossessionato dal fatidico cronometro).

Mai dimenticati nel testo i tanti volontari espressioni di svariate associazioni, società sportive, enti locali vari per aver pensato e organizzato eventi agonistici legati alla montagna e non: con la loro opera creativa hanno reso possibile l’effettuazione di queste impegnative prove atletiche spesso rendendo nuovamente percorribili antichi sentieri in disuso. Non mancano poi alcune azzeccate riflessioni sull’istituzione delle recenti categorie ove vengono inseriti i partecipanti secondo l’età anagrafica, sull’evoluzione del monte premi e, sopratutto, la dissertazione non banale sul perché si corre in montagna e nel modo di interpretarla. L’autore con posizione poco talebana accoglie sia gli agonisti, i cosiddetti velocisti delle vette, i camminatori ed addirittura gli asceti coloro che, cercando il loro se, si immergono nella contemplazione della natura alpina. In montagna c’è davvero spazio per tutti: questa è la salomonica conclusione a cui perviene.

Il libro termina con una storia sull’evoluzione della specialità indirizzata a chi vorrà
farsi un’opinione documentata su particolare mondo impregnato da “un’inutile
splendida fatica”. Come classificare e valutare questo secondo impegno letterario
di Carlo? Sicuramente è l’espressione di una autentica passione sportiva non
comune che si concretizza nella voglia di raccontare e condividere qualcosa
d’importante che lo ha segnato nel profondo avendo preso parte a moltissime delle
classiche raccontate. Raccogliere tutto il materiale inserito nel libro ha sicuramente
richiesto un paziente lavoro di documentazione e sforzo mnemonico. Pregevoli le
foto in bianco nero, una memoria di cui c’era bisogno per tramandare ai posteri
l’impegno atletico, la palpabile fatica dei tanti che hanno posto le radici di questa
forse “inutile splendida fatica; poco importa che qualche evento non sia della partita con l’assenza di qualche scatto importante. In conclusione un pregevole doculibro di sport e montagna. Grazie per averlo pensato e realizzato.