Murakami Haruki – Edizioni Einaudi

Una premessa lievemente critica

I titoli dei libri, così come spesso quelli dei giornali, non riflettono i contenuti dei
medesimi. Questo di Murakami non fa eccezione ed è un esempio di questa “distorsione”. L’autore stesso, d’altronde, in una postfazione (vocabolo raro), cioè con un capitolo dedicato alle notazioni dell’autore al fondo del testo ricorda che trattasi di una serie di brani scritti tra l’estate del 2005 e l’autunno del 2006. Oltre un anno per scrivere sulla corsa, vedremo poi di quale corsa si tratta, a riprova che anche scrittori professionisti e discreti maratoneti, ecco svelato il mistero, come Haruki non scrivono proprio di getto e si prendono il tempo necessario per elaborare, lentamente, idee, sensazioni, considerazioni da riportare sul foglio bianco relative ad un gesto insito nella natura umana semplice da eseguire ma non così facile da decodificare nei suoi molteplici aspetti. Lui, e lo dichiara espressamente, individua questo testo come ascrivibile alla serie delle memorie, di chi racconta come la corsa abbia segnato, in modo profondo, la propria vita. Ed ha ragione perché per poter dare un titolo come “arte del correre” occorrerebbe caratterizzare il testo con maggior completezza nell’esaminare le tante sfaccettature della corsa soprattutto individuando accorgimenti non così scontati, suggerire tra le svariate metodiche della preparazione quella intrisa di arte per raggiungere risultati di rilievo sia sul piano fisico che mentale. Quest’ultimo aspetto non è nemmeno sfiorato e rappresenta un limite per un libro con un titolo così impegnativo ed è anche un fatto poco spiegabile per uno scrittore nato in oriente patria di tanti insegnamenti al riguardo. Limitarsi, poi, alla sola maratona, seppure corsa importante e ricca di simboli, mi pare un limite non da poco.

I contenuti

Si ritrovano illustrati , comunque, concetti di base anche scontati, come ad esempio nel primo capitolo, quando raccontando dei suoi allenamenti alle Haway (che bello dev’essere correre lì, almeno nell’immaginario) dotato di walkman (l’ipod non rientra nei gadget da lui preferiti) ricorda il suo obiettivo d’incrementare la resistenza allungando, giorno dopo giorno, le distanze percorse senza usare il cronometro o diminuendole per praticare un ritmo più veloce.
Seguono alcune sue altre considerazioni sull’allenamento che non dovrebbe mai esaurire l’atleta per riuscire a conservargli , intatta, la voglia ed il piacere di correre il giorno dopo così come, e qui iniziano gli spunti interessanti per una serie di analogie che si ripresenteranno di frequente lungo le pagine, lo scrittore che dovrebbe esistere dallo scrivere pur avendo la possibilità di continuare per poter, nuovamente, iniziare nei giorni seguenti con lo stesso entusiasmo.
Il nostro maratoneta scrive e corre ogni giorno, salvo rare eccezioni, per cui non gli è difficile raggiungere i 60 Km alla settimana come media anche se, in un mese, gli accade di percorrerne talvolta 310. Precisa che lo fa in modo serio e tale serietà l’accompagna da 23 anni, un numero di rispetto accumulato correndo con regolarità per disputare, ogni anno, una maratona. Degne di attenzione mi sono sembrate anche altre notazioni sull’allenamento che, a suo giudizio, non dovrebbe mai costituire una forzatura ma, invece, porsi in sintonia con il carattere di chi lo pratica sino a far emergere “qualche profonda verità riguardo a sé stessi e mirare ad un costante miglioramento”.
Correre una maratona per Huraki è un’attività simile a quella di scrivere un libro. Occorre, in entrambe le attività, essere dotati di una motivazione interiore che
non cerca conferme all’esterno per sostenere lo sforzo che consuma carne ed ossa. Inoltre, senza concentrazione e perseveranza, è impossibile terminare la scrittura
di un libro e tali doti egli attinge dalla praticare della corsa a cui è infinitamente
grato.
Come tutti i corridori, anch’ egli, attraversa momenti di stanca, di abbattimento
psicologico quando l’entusiasmo cala sino al punto che“ il correre non diventa più
puro e semplice piacere senza riserve”.
Riesce però a ritrovare, con il tempo, il giusto atteggiamento per uscire da questo stato quando percepisce il riattivarsi del desiderio per riprendere ad allenarsi. Allora gli torna, in qualche modo, l’ispirazione. Ricomincia a gustare il piacere d’ inspirare l’aria frizzante, riascoltare il rumore dei propri passi, il respiro ed il battito del cuore. Continua a correre senza avere pensieri coerenti: a volte gli sorgono idee per i propri libri, vive momenti d’allegria o, altri, di tristezza.
In estrema sintesi quando corre, semplicemente corre in quello che lui identifica come vuoto anche se “pensieri diversi” s’insinuano naturalmente nel suo cervello pur, come sostiene, “derivati dal nulla”. Altre volte gli accade di pensare in modo razionale e prepara i discorsi che terrà all’Università: “porto avanti le gambe e le frasi si allineano automaticamente”.
Individua nella corsa la capacità di compensarlo, di offrigli quelle gratificazioni non
provenienti dal suo lavoro di scrittore: allora prova a percorrere distanze più lunghe del solito per far consumare al corpo la propria delusione.

Chi è Haruki

Haruki è uno scrittore-corridore giapponese a cui interessa la relazione con i propri lettori: vuol dar loro la gioia con i suoi scritti. Nell’immaginario collettivo non è un fatto comune perché le due attività vivono agli antipodi in fatto di dinamicità tanto che alcuni suoi estimatori gli fanno presente il pericolo di dissipare, correndo, quel le energie creatrici necessarie per scrivere. Lui, però, pensa esattamente il contrario. Arriva alla celebrità dopo aver attraversato periodi bui e difficili che lo hanno formato e aiutato a compiere la scelta professionale di scrivere per vivere. Appena laureato apre un bar con un impegno asfissiante in termini di ore di lavoro ed a 30 anni, l’età “in cui non si è più giovani”, diventa dapprima scrittore part-time e, successivamente, in modo esclusivo.
Scrivere in modo professionale comporta stare parecchie ore alla tastiera e ciò costituisce un impegno sia fisico che intellettuale. Prende allora la decisione
d’irrobustire il proprio fisico abbandonando la pessima abitudine di fumare 60
sigarette al giorno e inizia, così, a correre, ovviamente ottenendo l’effetto di
potenziare le proprie capacità fisiche e dare, nel contempo, il meglio di sé nella
scrittura.
Non ha difficoltà a correre ogni giorno, come già detto, scoprendo quanto il gesto
atletico gli sia spontaneo consentendogli di coprire distanze sempre maggiori
senza comportare troppa fatica. Un’attività congegnale che “viene a integrarsi nel
ciclo della sua vita così come si mangia tre volte al giorno” e che riesce a farlo
sentire felice. Corre da solo ed in silenzio così come, allo stesso modo, sta seduto
alla scrivania creando, ancora una volta, un indissolubile trait d’union tra le due
attività.
Arriva alla convinzione che non bisogna forzare i muscoli ma abituarli, lentamente, alla fatica facendoli diventare docili e pazienti giungendo a paragonandoli a esseri viventi che preferirebbero vivere senza faticare troppo.
Così procede negli anni: allenamenti continui con la disputa di una maratona
all’anno sino a collezionarne, sinora, 23 e scrittura.
Si impegna sempre, e questa è una sua particolare caratteristica, così come
mette l’anima in altre attività, soprattutto nello scrivere. Sembra invidiare altri
scrittori, suoi colleghi, che gli paiono più ispirati, spontanei. Lui, invece, deve
scavare di continuo, arrovellarsi per scrivere. Analogamente deve “sbattersi” per
riuscire ad ottenere tempi decenti. Insomma riesce a farci capire quanto per lui le
cose abbiano un prezzo condito di fatica e applicazione continua.
Per correre la mitica maratona di New York si allena, normalmente, per cinque
mesi alternando modulazioni di corsa lunga/corta, allenamenti duri/leggeri.
Nel 1983, a riprova che l’arte della corsa non è propriamente una sua
caratteristica, percorre d’estate e al contrario, la celebre e storica MaratonaAtene. Un caldo asfissiante lo accompagnerà durante “l’impresa” insieme ad un traffico infernale con vento contrario negli ultimi chilometri. La correrà in solitaria sotto l’occhio vigile di una troupe televisiva finendo sfinito e disidratato. Non rinuncia nemmeno a cimentarsi, alcuni anni dopo e precisamente nel 1996, in una cento chilometri correndo intorno ad un lago giapponese. Anche qui accuserà uno sfinimento provando sensazioni nuove come quella di “essere fuori dal proprio corpo” in una sorta di trance che lo trasforma in un robot capace di dondolare le gambe. Questa esperienza lo svuota anche psicologicamente sino a togliergli la voglia di correre.
Intanto il tempo fa il suo dovere, cioè trascorre come Haruki fa il suo continuando
a scrivere, e, nel suo incedere, lascia tracce sul suo fisico al punto da rendere le
sue prestazioni nell’annuale maratona sempre peggiori sino a concluderle in un
tempo per lui insoddisfacente: quasi 4 ore nonostante si fosse allenato per benino. Accusa il declino e attribuendolo ai suoi anni: 45. Nell’ideale vetta della vita, si
ritrova a percorrere, con consapevolezza, la parte discendente. “Sono le regole del
gioco; posso solo accettarmi come sono, come parte di un paesaggio naturale” ed aggiungendo in modo consolatorio: “Voglio pensare ai fiumi. Voglio pensare alle
nuvole. Ma in realtà non penso a niente. Semplicemente continuo a correre nel
silenzio di cui avevo nostalgia, in un comodo spazio vuoto che mi sono creato da
solo. E dicano quello che vogliono, ma è una cosa fantastica”.

Commento finale: Non certo un testo di “arte della corsa” come già messo in
evidenza all’inizio. Piuttosto una serie di capitoli sufficientemente frammentati e
privi di una visione d’insieme pur in presenza dell’innegabile filo conduttore
costituito dalla corsa e con una serie di affermazioni, strettamente derivate dalla
sua esperienza di corridore di sole maratone.
Qua e là è possibile cogliere qualche frase ad effetto anche azzeccata, riflessioni
anche profonde, punti alti di entusiasmo e punti bassi quando la corsa non diventa
più l’amore della vita, seppure per brevi periodi o quando si accorge che
difficilmente potrà migliorarsi sul piano cronometrico. In questo alternarsi di stati
d’animo Huraki descrive con veridicità la psiche di chi corre per anni alternando, inevitabilmente, entusiasmo anche eccessivo quando le cose vanno bene ad altri, più bui, quando qualcosa va storto e non si raggiungono gli obiettivi o quando si
intravede il tramonto della propria attività motoria. Metafora della vita? Mi pare di
sì. La stabilità psicologica rimane “merce rara” e non si raccoglie sul ciglio della
strada né è gratuita anche se la pratica della corsa può contribuire, a mio parere,
alla sua formazione! Huraki nei momenti difficili ha il merito di reagire non
piangendosi addosso: fa altro, si distrae dedicandosi al triathlon (corsa-bicicletta
e nuoto) anche se finisce per i ritornare alla corsa, sempre anche con
considerazioni filosofiche come ho documentato.
Originale, invece, l’accostamento presente in vari passaggi dell’attività del
corridore con quella dello scrittore. Questo punto di vista credo possa contribuire
ad ampliare la visione di ciascuno di noi facendoci riflettere su due mondi
apparentemente distanti e contemporaneamente vicini.
Il finale contiene delle frasi belle e significative per cui le riporto per farvele gustare: “Visto dall’esterno o giudicato dall’alto il nostro modo di vivere apparirà forse insulso, privo di significato e fondamento. Ma anche ammettendo che compiamo una serie di atti vuoti resta il fatto reale che ci impegniamo. Non importa se facciamo una bella figura o meno, se otteniamo risultati. In fin dei conti l’essenziale, per la maggior parte di noi, è qualcosa che non si vede ma si percepisce con il cuore. E spesso le cose che hanno veramente valore si ottengono con gesti inutili”.
“Non so sino a quando sarò in grado di ripetere questi atti vuoti, è evidente. Ma
dal momento che sono arrivato sin qui senza che la corsa mi sia venuta a noia, finchè potrò terrò duro”.

Note sull’autore: Murakami Haruki è nato a Kyoto nel 1949 ed è cresciuto a Kobe. Autore di numerosi romanzi, racconti e saggi, ha tradotto in giapponese molti
autori americani. Di lui l’editore Einaudi ha pubblicato oltre all’arte di correre, Dance Dance Dance, La nascita dello Sputnik ed altri testi come L’Uccello che girava le viti del mondo, After Dark e Kafka sulla spiaggia.
Supersintex (per lettori frettolosi o poco vogliosi d’addentrarsi nella lettura).
Questo libro – L’arte della corsa – racconta il rapporto di uno scrittore
professionista con il mondo della corsa; un rapporto stretto tale da influenzare
profondamente la vita di Huraki. Corre per scrivere, per fortificarsi fisicamente e
riuscire a continuare a scrivere con immutato entusiasmo lo stesso che prova
normalmente correndo. Si allena in modo serio quasi tutti i giorni per riuscire a
disputare una maratona all’anno. Ne disputa 23 ed anche una 100 chilometri
quando oltre l’età di mezzo diventa consapevole che è iniziata la propria
decadenza fisica. Nonostante si sia allenato bene termina la sua corsa oltre le
quattro ore. Reagisce con filosofia continuando a proporsi e ripetere i soliti “atti
vuoti della corsa”, inutili per qualcuno ma che continuano a dargli “quel qualcosa
che non si vede ma si percepisce col cuore”. Originale nella sua narrazione
l’accostamento tra l’attività dello scrittore e quella del corridore.